Per una reinterpretazione radicale della nostra specie



di Genevieve Vaughan


Traduzione Francesca Lulli


Siamo una specie materna

Stiamo attraversando un periodo di crisi quasi terminale. Le contraddizioni diventano ogni giorno più profonde e conflittuali. Tutto ciò potrebbe portarci a distruggere il pianeta, nel breve termine attraverso una guerra nucleare, nel lungo termine attraverso la devastazione ambientale e nel medio termine attraverso la follia sociale e una diffusa perversione dei valori "umani", per la quale i forti si sentono giustificati a massacrare i deboli, sostenuti da oligarchie che muovono i fili economici e militari da un "altrove". In molti pensano che questa crisi dimostri che la nostra specie non ha il diritto di sopravvivere; io credo invece che dimostri che c'è qualcosa di profondamente sbagliato non nella specie in sé ma in ciò che pensiamo di essere in quanto specie.

Infatti, noi pensiamo di essere homo sapiens sapiens, gli esseri che sanno, che sanno di sapere. Ma questo non è vero. Noi non sappiamo realmente chi siamo e non sappiamo di non saperlo. Il patriarcato, ormai fuso con il capitalismo, ci ha resi ciechi rispetto al fatto che noi tutti, donne e uomini, apparteniamo ad una specie materna.

Non avendo questa comune consapevolezza, interpretiamo il mondo e agiamo in maniera contraria alla nostra vera e condivisa identità di specie, che continua a formarsi attraverso un’impronta o schema biologico e culturale di base che si determina attraverso il modello delle cure materne unilaterali che riceviamo durante i nostri primi giorni di vita. Se queste prime cure unilaterali vengono a mancare il bambino muore, e la conseguenza evolutiva di questo è che tutti i membri della specie umana (che sopravvivono e sono sopravvissuti) hanno sperimentato come primo modello interattivo il dare-ricevere unilaterale.

Quindi iniziamo la nostra vita come homo recipiens e donans e le nostre strutture cognitive e comunicative di base vengono determinate dalla esperienza che facciamo in quel periodo. Queste strutture durano tutta la vita e permettono ai bambini, una volta divenuti adulti, di svolgere a loro turno, il ruolo di madri (e figure accudenti) di neonati vulnerabili.

Come dimostrato nel libro di Wanda Trevathan sui neonati indifesi e l’evoluzione umana, la nostra capacità di prenderci cura dei bambini (attraverso il dare e ricevere unilaterale) fornisce le basi per la sopravvivenza dei più deboli - i nostri piccoli fortemente vulnerabili – mentre, invece, la concezione diffusa dell'evoluzione, sviluppata da Darwin, enfatizza la sopravvivenza competitiva dei più forti, i vincitori della battaglia per la sopravvivenza. Una visione, questa, più patriarcale e individualista, che si dice sia stato ispirata dalla competizione tra le imprese capitalistiche dell'epoca di Darwin.

Pertanto, in quanto capacità specie-specifica, l’accudimento materno e l’essere accuditi (mothering-and-being-mothered) costituiscono la base potenziale per una struttura sociale mondiale che diverrebbe, così, conforme alla sua logica orientata verso altri e al suo successo evolutivo.

Come lo scambio (bilaterale) contraddice il dono

Attualmente, tuttavia, lo scambio bilaterale, il do ut des, che rappresenta il principio del mercato, prevale sul dare e ricevere unilaterale e contraddice la sua logica in ogni occasione. La diffusione e il dominio del capitalismo collocano il dono in una sfera separata e in una posizione di inferiorità e dipendenza, per la quale i doni dei molti sono destinati a nutrire il mercato. Sarebbe a dire che i doni del lavoro gratuito e "non retribuito" situati al di fuori del mercato, come quelli della "sfera" domestica, del tempo di lavoro surplus del proletariato all'interno del mercato, delle risorse naturali a basso costo e dei restanti doni gratuiti della natura, come l'aria e la luce del sole, confluiscono tutti insieme nel profitto dei capitalisti, che se ne approfittano. Questi doni sono chiamati con diversi nomi: lavoro domestico, lavoro sfruttato, prodotti a basso costo, ma per il capitalista sono tutti doni gratuiti, compresi i soldi che ha guadagnato, ossia i doni di profitto che, grazie al suo ingegno e al suo sforzo, ha regalato a sé stesso. Il linguaggio del mercato non riconosce il dono unilaterale e, la costruzione di questo punto cieco, mantiene la presenza sistemica materna (che è ancora esistente) subordinata, inaccessibile e non riconosciuta. L’idea che il dono unilaterale sia una cosa sacra e divina, mette in secondo piano il quotidiano accudimento unilaterale materno e il ricevere unilaterale da parte dei bambini.

Strutture neuronali scolpite dal dono

Anche nel capitalismo, nella vita di ogni individuo, vi è nell’infanzia una fase pre-mercato e pre-patriarcale. Si tratta del periodo precedente a quello in cui i bambini comprendono lo scambio del do ut des, che inizia solo intorno ai 3 anni, sviluppandosi poi nel corso della fanciullezza e dell'adolescenza. Ora, la neuropsicologia interpersonale dell'infanzia sta dimostrando come le strutture interattive di base del cervello si determinino epigeneticamente attraverso l'esperienza del bambino dopo la nascita e vengano “scolpite” durante la sua crescita attraverso la “potatura”, cioè la morte cellulare dei neuroni che si trovano in quei percorsi che non sono effettivamente stimolati dall'esperienza del bambino. (A. Schore) Da tutto questo deduco che le esperienze fondamentali nella vita dei bambini, e cioè l’avere dei bisogni e il riceverne una soddisfazione adeguata da parte delle loro madri (e/o figure accudenti), vengano scolpite nei loro percorsi neurali come un modello di base per le loro interazioni. E credo che questo modello di base, il modello del dare e ricevere unilaterale, rimanga funzionante per tutta la vita. Tuttavia subisce molte variazioni, alcune delle quali fortemente discordanti con esso, come l’interazione stessa dello scambio, con la conseguenza che la continuità dell'esistenza e l'importanza del dono non vengono riconosciute. Infatti, sebbene i ricordi della prima infanzia vengano dimenticati in quella che viene chiamata "amnesia infantile", lo schema semplice del dare e ricevere resta: A dà a B e B riceve da A. Ogni partecipante deve svolgere attivamente la sua parte: il dare non è completo se il dono non viene ricevuto e, naturalmente, il destinatario non può ricevere se il dono non viene dato.

Le cure necessarie alla vita del bambino: nutrirlo, pulirlo, regolarne la temperatura, ecc., vengono fornite unilateralmente dalla/e madre/i (uso il termine "madre" per includere chiunque svolga costantemente il lavoro di cura, indipendentemente dalla relazione o dal genere) e vengono ricevute unilateralmente dai bambini. Nella prima fase della vita, il bambino non restituisce, e in effetti non può restituire, un equivalente di ciò che gli è stato dato in uno scambio di do ut des.

La traiettoria del dono

Un bambino appena nato riceve il dono dell'aria e le cure della madre (o delle madri). L'allattamento al seno è la sua prima esperienza e sensazione fisica del dare e ricevere interpersonale diretto e avviene, tra madre e bambino, nel momento in cui ciascuno sperimenta fisicamente il dare e il ricevere dell'altro. Il bambino percepisce il dare della madre e il proprio ricevere, mentre la madre percepisce il proprio dare e il ricevere del bambino, con il risultato che le due esperienze diventano una sola. I neuroni specchio facilitano la conoscenza reciproca dell'esperienza dell'altro.

Si tratta di un'originale integrazione postnatale con l'altro, una sorta di fusione. L'esperienza dell’allattamento artificiale è simile, ma in questo caso essa è percepita più attraverso il contatto fisico, il contatto visivo, i feromoni, ecc. In seguito, la distanza tra madre e bambino aumenta quando la madre dà al bambino alimenti semisolidi.

Chiamo “traiettoria del dono” il superamento della distanza tra chi dona e chi riceve. Questa traiettoria è istantanea nell'allattamento al seno, in cui il donare è basato nelle sensazioni fisiche di entrambe le parti (in maniera simile avviene anche nell'allattamento al biberon senza, però, l'immediata sensazione fisica della madre), e continua a fondarsi nelle diverse attività di cura, durante le quali, man mano che la bambina cresce, ogni partecipante può sperimentarsi alternativamente nel ruolo di chi dà e in quello di chi riceve. Inoltre, la bambina sperimenta sé stessa in qualità di dono, quando la madre la dà in braccio a qualcun altro.

Nelle riunioni di famiglia i bambini possono essere dati in braccio a più persone. Ho letto di una tribù africana in cui i membri si sedevano in cerchio e si passavano l’un l’altro il bambino con amore, ognuno tenendolo in braccio solo per pochi minuti. L’infante deve essersi sentito come un dono offerto ancora e ancora.

Le esperienze della prima infanzia determinano modelli e relazioni che permangono in modo importante per tutta la vita. Le implicazioni del valore o dell'importanza intrinseca dell'altro, vengono stabilite attraverso il dare e il ricevere che creano la conoscenza dell'altro e una autostima reciproca, unendo gli individui e la comunità.

Donare unilateralmente all'altro, al fine di soddisfare il suo bisogno, dà valore all'altro (riconosce il suo valore intrinseco) per implicazione. Trasmettere il dono ad un'altra persona implica anche il valore di quest’ultima. E qui si può individuare un sillogismo: se A dona a B e B dona a C, allora A dona a C. Trasmettere il dono, farlo circolare, unisce chi dona e chi riceve attraverso l'implicazione del riconoscimento del valore intrinseco di ciascuno, per mezzo della relazione di dono con gli altri, con e attraverso il dono. Le prime esperienze nell’economia del dono materno riecheggiano per tutta la vita e la logica interpersonale del dono continua a creare relazioni significative a molti livelli.

I sociologi e gli antropologi che si sono occupati e si occupano di economia del dono di solito non riconoscono il dono unilaterale perché i loro settori sono stati influenzati dal libro di Marcel Mauss Il dono, del 1923. In questo testo viene affermato che l'interazione del dono si compone di tre fasi: dare, ricevere e ricambiare, e si considera che la fase del ricambiare costituisca l'elemento che crea la relazione. Mauss - e coloro che lo hanno seguito - non hanno compreso che i primi due passi – quello del dare e quello del ricevere - creano già la relazione tra madre/figura accudente e bambino e che il ricambiare può alterare tale relazione (come nello scambio) o confermarla (come nel gioco iniziale del “servire e restituire” (serve and return), che descriverò di seguito).

Purtroppo, in quanto bambini cresciuti e adulti che vivono all’interno del capitalismo, noi tutti guardiamo attraverso gli occhiali di un'economia antitetica al dono, basata sullo scambio monetizzato del do ut des. Il do ut des contraddice di fatto le implicazioni interpersonali del valore-di-dono all’intrinseco valore dell'“altro”, dando invece valore ai prodotti, come valori d'uso e valori di scambio espressi in denaro.

Inoltre spesso, il contesto dell’economia di mercato in cui, di solito, avviene il dono unilaterale, rende il dono materno difficile e persino auto-sacrificale, dato che i doni non sono immediatamente disponibili. Infatti, essi devono passare attraverso i meccanismi di mercato e di scambio prima di poter essere dati gratuitamente al bambino. Nel capitalismo, la famiglia nucleare, la mancanza di comunità e la diffusa condizione di madre-single fanno si che per molte madri sia difficile praticare l'economia del dono materno perché, in effetti, spesso nessuno dona loro.  Molti danno la colpa dell’autosacrificio alla maternità in quanto tale, ma in realtà è il contesto socioeconomico capitalista, improntato all'estrattivismo dei doni, nel quale la maternità si trova ad attuarsi, che costringe le madri al sacrificio di sé.

Il dono nella prima infanzia e il suo incontro con lo scambio di merci

Ritengo che alcuni aspetti degli incontri tra il mercato e le interazioni di dono che si verificano nella prima infanzia facilitino il sopravvento dello scambio di mercato e del patriarcato sull'economia del dono.

Studiando lo sviluppo tipico dei bambini nella prima infanzia, i ricercatori di Harvard hanno scoperto che già a 3-6 mesi di età i bambini iniziano a impegnarsi in giochi sociali di imitazione reciproca con le loro madri che, usando un'analogia con il tennis, i ricercatori chiamano di “serve and return”. Questi giochi, favoriti dai neuroni specchio, forniscono ai bambini un modo per capire l'altro, rispondendo e ripetendo almeno in parte ciò che l'altro sta facendo.

Ritengo che questa diffusa struttura comunicativa interattiva precoce, basata sul dare e il ricevere, e facilitata dai neuroni specchio, possa essere “invasa” e “occupata” dalla struttura ingannevolmente simile dello scambio do ut des, più tardi, quando il bambino inizia a capire e a impegnarsi nello scambio.

Questo fa sembrare lo scambio naturale e permette agli economisti e ai filosofi (se ci pensano) di proiettare il mercato all'indietro fin nell'infanzia, al punto che può sembrare che non esista un'economia del dono materno e nemmeno una comunicazione che non sia “transazionale”, del tipo do ut des. In realtà, la gran parte del pensiero economico accademico, che prende in considerazione la prima infanzia, ci porta a vedere il modello del dare e ricevere che sostiene la vita senza riconoscerlo come tale, ritenendo che sia solo di un momento di scambio non ancora sviluppato.

La mia tesi è che la dinamica “serve and return” rappresenti un'interazione giocosa che esprime la relazione di fiducia reciproca e il piacere di prendere iniziative nei confronti dell'altro e che sono accolte e ripetute dall'altro verso di lui. Questa dinamica dà al bambino la possibilità di sentire come è nutrire la madre e alla madre la possibilità di vedere come il bambino percepisce il suo nutrimento.

Nelle società non di mercato l'obbligo del contraccambio è probabilmente influenzato da questo tipo di interazione sociale piuttosto che da uno scambio del tipo do ut des. La conoscenza dell'altro e le connessioni a lungo termine tra adulti possono realizzarsi ripetendo l'interazione tra madre e bambino, utilizzando oggetti (e/o servizi) donati. Questo si applica anche ai gruppi sociali o a quei viaggiatori che recapitano doni in terre lontane e riportano a casa i doni che sono stati loro offerti. Anche i doni simbolici possono anche essere trasmessi da un gruppo all'altro (come è stato descritto per l'anello Kula delle isole Trobriand). L'economia del dono materno non solo è diversa dallo scambio, ma stabilisce relazioni umane di base che continuano per tutta la nostra vita, anche quando in seguito vengono oscurate, cooptate, contraddette e colonizzate (!) pressoché in ogni momento dallo scambio e dalle relazioni basate sullo scambio.

La prima infanzia avviene all’interno dell'economia del dono materno, perché infatti il bambino non può restituire alla madre l'equivalente di ciò che gli è stato dato (e anche se ci si aspetta che si prenda cura dei genitori in età avanzata, il bambino non lo sa, né sa se una tata viene pagata per prendersi cura di l:i). Non nego che il capitalismo e il patriarcato abbiano creato un sistema complesso e che sia necessario tracciare i suoi molteplici sviluppi per comprenderlo.

Tuttavia, l’inizio semplice della vita nell'economia del dono unilaterale e la sua successiva contraddizione da parte dello scambio do ut des non sono stati studiati in quanto tali, anche se la contraddizione del dono e la sua sostituzione con il mercato del profitto (cioè il dono) rappresentano un cambiamento di direzione nella vita dell'individuo e nella vita della società in generale.

Molti ritengono che lo scambio rappresenti una naturale capacità umana e che sia sempre esistito. Penso che questo sia dovuto al fatto che non viene riconosciuta l’esistenza precedente dell'economia del dono unilaterale, che invece è considerata istintiva o divina o addirittura “impossibile”, come sosteneva Jacques Derrida.

In effetti, come anche per altri pensatori, la discussione di Marx sull'economia inizia fin da subito con lo scambio, con il prodotto visto come valore d'uso e valore di scambio, senza alcuna analisi dell'economia del dono materno presente nell'infanzia né delle implicazioni relative a quello che io chiamo “valore di dono”, cioè il valore intrinseco del ricevente, che è implicito e viene conferito dal fatto che il donatore soddisfa unilateralmente i bisogni del ricevente.

Dal punto di vista dell'economia materna, lo scambio e il mercato costituiscono una seconda fase in contraddizione con una prima fase resa invisibile, quella del dono, che precede lo scambio in ogni vita umana e che rimane come livello di base (bottom layer) dell'economia di mercato. In realtà il mercato è secondo sia nella storia che nella vita di ogni individuo. Esso contraddice diametralmente l'economia del dono materno e, alimentato dal patriarcato, assoggetta quest'ultima, i suoi principi e i suoi doni. Ciò può essere visto chiaramente nella storia dell'invasione delle Americhe indigene da parte degli europei e nel più recente colonialismo che ha portato Paesi, continenti ed emisferi ad essere soggiogati e a donare unilateralmente - cioè ad “accudire in maniera materna” - i Paesi capitalisti patriarcali, i mercati internazionali e le imprese finanziarie.

Il modello della madre/figura accudente, che riconosce unilateralmente i bisogni del bambino e risponde ad essi in modo appropriato è a disposizione di ogni bambino nella sua prima infanzia per l'integrazione e l'imitazione, anche se si possono verificare patologie del comportamento quando questo modello è distorto o incompleto. Purtroppo, ci possono essere casi di crudeltà patologica nei confronti dei bambini da parte di genitori, fratelli maggiori, assistenti a pagamento, orfanotrofi disfunzionali e persino governi che massacrano i bambini “nemici” con bombe e fame, come sta accadendo ora nel genocidio di Gaza da parte di Israele (le statistiche parlano di 50.000 bambini uccisi anche prima delle recenti politiche di bombardamento e fame di Israele dopo la rottura del cessate il fuoco). Distruggendo i mezzi che rendono possibile il dono e non permettendo, di conseguenza, che abbia luogo l’accudimento materno e che si instauri lo schema del dono nella vita dei bambini, gli israeliani, sostenuti dagli americani, stanno distruggendo la rete del dono della vita, mutilando le future generazioni di palestinesi.

Molti studi psicologici sono stati fatti sull'accudimento materno patologico o incompleto e sui suoi effetti sui bambini e successivamente sugli adulti.

Se questa guerra è la conseguenza del genocidio degli ebrei da parte dei nazisti, quale sarà la conseguenza del genocidio dei palestinesi da parte di Israele e degli Stati Uniti? Rendere le madri impotenti nel donare unilateralmente per nutrire la vita dei loro figli rischia di produrre un modello di depravazione per le prossime generazioni. Tutto ciò cambia il nostro essere una specie materna, in quanto elimina la relazione di dono e dando, invece, gratuitamente la morte.

Mi viene in mente lo psicoterapeuta ebreo-ungherese Gabor Maté, che da neonato venne affidato dalla madre, ad una donna sconosciuta incontrata per la strada per essere salvato dai pogrom. La madre gli ha dato la vita due volte, la seconda volta dandolo a un'altra madre. Capendo l’importanza del dono che la madre gli ha fatto dandogli la possibilità di ricevere il dono materno di qualcun altro, Maté è diventato una persona con una grande capacità di comprensione psicologica e di dare consigli.

 

La logica del dono come modalità di base dell'essere umano e le sue distorsioni

In questa seconda parte del mio intervento descrivo quello che considero il modello del dono, al fine di dimostrare la continuità della logica e dell'esperienza del dono nel corso della vita come la fondamentale modalità dell’essere umano nella comprensione e nell’interazione con il mondo.

Poiché nel capitalismo l'economia del dono materno è nascosta e la nostra attenzione è orientata non solo al e dal mercato, ma anche dal mercato delle idee e da una filosofia che per secoli ha escluso il pensiero materno, noi non riconosciamo il modello di dono che sta alla base del nostro pensiero e interpretiamo, piuttosto, il mondo in una maniera “neutra”, priva del dono, attraverso esperienze di vita corporea dalle quali il dono è stato rimosso in qualche misura, ma che mantengono invisibilmente i suoi schemi. Un esempio di questo tipo potrebbe essere il lancio e la presa di una palla, ma ce ne sono molti altri. La mia ipotesi è che i modelli del dare e ricevere, che si determinano nella prima infanzia, vengano riutilizzati nelle capacità adulte di tutti gli umani, come nel linguaggio (o nel lancio e la presa della palla), ma che tali modelli ci appaiono sui generis perché non riconosciamo l'impronta o il modello dell'economia del dono materno come loro origine.

Pensiamo ad esempio al dare-ricevere, espirare e inspirare, vedere-essere visti, poi nutrire-essere nutriti, camminare: dare un piede in avanti alla Terra e poi l'altro, andare (come un dono) da un posto all'altro, lanciare e prendere una palla, mettere insieme dei pezzi, parlare e capire, la sintassi, mettere insieme le parole.

Se ci sforziamo di riconoscere l'economia del dono nell'esperienza del bambino e della madre, possiamo riconoscerla come nostro “modello comune” o “impronta originaria” e vederla negli altri aspetti gratuiti/non retribuiti dell'economia che ho citato prima, come il lavoro domestico e il plusvalore, che per i capitalisti sono doni gratuiti, che alimentano (accrescono) il loro capitale e la loro autostima.

Adesso molte economiste femministe studiano il lavoro di dono gratuito, come il lavoro di cura, ma il loro obiettivo, generalmente, è quello di attribuirgli un valore monetario e di farlo rientrare nell'economia di scambio. La mia idea è, invece, quella di riavviare l'economia (e gli studi sull'economia) basandoci sul dono materno unilaterale e, in seguito, eliminando gradualmente il mercato, creando così una società che riconosca che noi tutti (uomini e donne) siamo una specie materna.

Le economiste femministe hanno affrontato i problemi delle donne all’interno dell'economia dal punto di vista del “secondo stadio”, cioè il mercato, e hanno cercato di ottenere la parità di retribuzione, il salario per i lavori domestici e il riconoscimento economico dell'economia di cura. Loro, o per meglio dire, noi, anche se non sono un’economista, di solito non ci collochiamo abbastanza al di fuori del paradigma del mercato da poter riconoscere l'economia del dono materno, perché, per quanto ben intenzionata e radicale ognuna di noi possa essere, gli economisti sono di solito coinvolti in quello che alcuni chiamano il Complesso Accademico-Militare-Industriale e devono partecipare con professionalità a una tradizione intellettuale patriarcale che per secoli ha escluso il punto di vista dell'economia del dono materno o l'ha assorbito (mansplained it!) in categorie etiche o religiose e simboliche.

Molte persone non comprendono che il fatto che un maggior numero di donne abbia successo all'interno del patriarcato capitalista non risolve il problema dello sfruttamento e dell'appropriazione dei doni di miliardi di altri esseri umani che vivono in altre parti del mondo (o in altre parti della città) e dei doni della natura, e che è proprio questo che costituisce gran parte di ciò che ci sta conducendo a questa devastazione e tragedia planetaria e umana, una distruzione e lacerazione mondiale della rete della vita.

Tuttavia, credo ancora che sia possibile che le femministe che comprendono la situazione possano cambiarla dall'interno, unendosi alle loro sorelle femministe (e fratelli) a livello locale e nel Sud e nell'Est del mondo per provocare rapidamente una necessaria rivoluzione pacifica a livello mondiale.

Purtroppo, interpretare il femminismo materno come “essenzialista” ha rallentato questo processo.  Io propongo, invece, una visione della specie umana materna non come dotata di un'essenza ma piuttosto dotata di un modello o schema di base, comune, che funziona attraverso il dare e il ricevere, un modello che tutti noi apprendiamo attraverso il dono unilaterale che riceviamo come neonati, durante l'epigenesi precoce, prima di imparare lo scambio.

 

 

Il modello / Blueprint

È quindi nel periodo dell'infanzia e della prima fanciullezza che questo modello esperienziale e cognitivo della specie umana prende forma. In questo periodo noi impariamo a parlare e a capire, a ricevere parole e a dare parole ad altre persone che possono riceverle e a dare parole ad altre parole nella sintassi, fondendole fra loro e formando frasi. E impariamo a camminare, a creare una traiettoria, donando noi stessi come un dono che si muove da un luogo di partenza a un luogo di ricezione : lo facciamo donando un piede verso la Terra che lo riceve, e poi donando l'altro piede.

Noi mettiamo qualcosa sul tavolo e il tavolo la riceve. Versiamo l'acqua e mettiamo le verdure nella pentola e la pentola le riceve. Poi diamo il calore alla pentola che lo riceve e lo trasmette all'acqua e alle verdure e poi diamo il cibo alla famiglia che ci dà un feedback con i suoi sorrisi di apprezzamento, soddisfacendo il nostro bisogno di sapere se il dono era buono. In altre parole, anche se non lo riconosciamo, il dare e ricevere costituisce una metafora o forse la metafora di fondo o il modello strutturale o lo schema di base di gran parte di ciò che facciamo nella vita. Vi invito a trovare altri esempi.

La linguistica cognitiva, il campo di studi avviato da George Lakoff e Mark Johnson negli anni '80, ha messo in luce l'importanza delle metafore per la nostra comprensione e visione del mondo. Attraverso l'ipotesi del dono materno unilaterale, osservo che alcune delle metafore più comuni, come “Path to goal” (Andare verso la meta), “Going out of or into a container” (Stare fuori o dentro una situazione) e “Source to target” (Dall’inizio alla fine/ dalla partenza all’arrivo/dal fiume al mare), si riferiscono direttamente al dare e al ricevere e alla traiettoria del dono. Credo che riconoscere l'importanza fondamentale del dare e ricevere ci permetta di vedere queste espressioni non solo come metafore, ma come richiami alla profonda struttura di dono che appartiene alla nostra esperienza umana. Trovare queste corrispondenze restituisce una struttura di significato sottostante, interpersonale e fondata sulla fisicità, a ciò che sembrerebbe essere un guazzabuglio di attività e percezioni sui generis.

Quindi, come ho suggerito sopra, a proposito dell'allattamento al seno, il significato percorre la traiettoria del dono, dalla sua origine, fondata in chi dona, al suo radicamento in chi lo riceve. In questo processo chi dona può attivamente proporre e chi riceve può attivamente ricevere il dono

Penso che il percorso della struttura di base del dono dia una risposta all’attribuzione di essenzialismo, perché sposta l'attenzione dal dovere e dal valore morale dell'accudimento ad uno schema, reciprocamente interpretabile e vissuto, che è fatto di azioni nel mondo e che viene praticato non solo dalle madri, ma da tutti coloro che hanno iniziato la loro vita come neonati accuditi da una madre o da altre persone. In altre parole, questo è il modello comune della specie materna, dell'homo donans.

Svelare il modello del dono nei diversi aspetti della vita umana (a prescindere dal genere) e vederlo anche nella natura (per esempio pensiamo alla Terra che riceve la luce del sole attraverso la fotosintesi delle piante), elimina l'idea del nutrimento come “essenza”(nurture as 'essence') e la sostituisce con un processo sociale e naturale oggettivo, un modello profondo e ripetibile che viene appreso da tutti i bambini attraverso l'esperienza del ricevere e del dare nell'epigenesi precoce, perché l'alternativa a questa esperienza, il non farla, condurrebbe alla morte individuale del bambino. Quindi, è l'evoluzione - la selezione naturale - non la metafisica o l'etica ad aver fornito alla nostra specie questo modello esperienziale comune.

All’interno del capitalismo le economie di dono ci appaiono come primi-tive, perché si basano sul modello materno - il dono viene “prima”, all'inizio di ogni vita. Storicamente il dono viene anche prima del mercato, in relazione alla cosiddetta “civilizzazione”.  Le economie di dono delle popolazioni matriarcali indigene sono sviluppi primi-tivi e positivi dell'economia del dono materno, un’economia che ha prosperato prima che la sua contraddizione logica e pratica attuata dal mercato estrattivo prendesse il sopravvento. Quindi, esse possono rappresentare dei modelli di cui noi abbiamo disperatamente bisogno in questi tempi di capitalismo traumatico.

Cosa possiamo fare adesso

Noi adesso abbiamo bisogno di cominciare a cercare di vedere, normalizzare e convalidare il dono ovunque esso esista. Il dono gratuito può avere un effetto molto positivo su chi lo fa e su chi lo riceve, perché è il principio fondante della prima infanzia e della vita stessa. Riconoscere tutto questo è utile a noi stessi come donatori e come riceventi e rafforza lo stesso paradigma del dono.

Esistono molti esperimenti di dono nelle comunità alternative e negli eco-villaggi, ma questi esperimenti non sono consapevolmente collegati al materno. Le donne e gli uomini ben intenzionati, persino eroici, che praticano il dono all’interno di questi approcci alternativi hanno bisogno di vedere la radice materna di ciò che stanno già facendo e di avvicinarsi ai modelli matriarcali che sono già presenti, come rivelato dal lavoro di Heide Goettner-Abendroth e da questo movimento di Matriarchy Now.

Riconoscere che l'economia del dono materno fornisce il modello di base della vita umana, ci permette di comprendere lo scambio di mercato del do ut des (e i suoi sviluppi come Capitalismo parassitario), come un modello “aberrante” e ci fa capire che esso è all’origine della contraddizione e dello sfruttamento dei nostri valori e comportamenti specie-specifici materni. Tale comprensione può consentirci di uscire dalla situazione da fine del mondo in cui ci ha portato il patriarcato capitalista e farci dono di un luminoso futuro matriarcale.

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